Descrizione
Prima un incidente e poi un assassinio mettono in subbuglio un paese della provincia italiana. Tra superstizioni, segreti e tradimenti si compiono storie e drammi quasi ordinari, per certi versi banali, che eccezionalmente sfociano nella violenza omicida, scoprendo la vulnerabilità di una comunità piccola e “normale”. Per questo la collocazione storica e geografica della vicenda è volutamente ignorata dall’autore. Un viluppo di vite che nell’incrocio magico voluto dal caso si scioglie e si riannoda continuamente attirando nella rete un uomo che tornerà a sentirsi vivo, scoprendo le proprie paure e passioni.
Inciarmo: indica una situazione intricata. Designa un espediente predisposto per ingannare. Significa anche truffa, “sortilegio”
Testo parziale
Era fine ottobre. La città sembrava diversa, o forse lo erano solo i suoi occhi. Il cielo coperto minacciava pioggia, le foglie trascinate dal vento ostacolavano la corsa d’incappucciati passanti. Si girò di scatto a guardare, ma non vide nessuno. Era solo lui che correva e sentiva il freddo nelle ossa. Un’aria gelida e tagliente da sfregiare il viso. Solo con i suoi pensieri e problemi cercava nelle forme e nei volumi delle cose un segno, un indizio per trovare nella propria mente uno straccio di risposta alla sua desolante esistenza. Passo dopo passo si trovò davanti a un portone familiare. Senza pensare salì di corsa le scale, con timidezza bussò alla porta socchiusa. Cautamente entrò, chiedendo il permesso di proseguire lungo l’abitudinario percorso.
Anni e anni di perseguitanti e frustranti modelli educativi lo avevano portato a uno snervante atteggiamento di prudenza verso tutto e tutti, sfociando in stucchevoli: «Chiedo scusa… Posso… Spero che non le sia di troppo disturbo». Pur sapendo di esagerare non riusciva a misurarsi, d’altro canto come mai avrebbe potuto liberarsi da quei modi di fare.
Lungo le scale fu accolto da una donna sui quarant’anni, i capelli nonostante il grigiore erano acconciati con tanta cura e precisione da sembrare volutamente appena colorati di bianco.
S’intrattenne per più di un’ora a chiacchierare soprattutto con lo zio il quale, sofferente da qualche tempo, si aiutava con una sedia per spostarsi da una parte all’altra della casa. Durante l’ennesima pausa si alzò salutando tutti, presto sarebbe stato di nuovo tra il vento e il freddo della sua anima, in perfetta sintonia con la temperatura esterna. Nell’uscire quasi si scontrò con una ragazza. In quel misero scenario una beltà, seppure primitiva, rappresentava un’ottima occasione per riscoprire istinti sopiti.
Senza badarci più di tanto proseguì. Intanto, la neve aveva ormai coperto le montagne, gli alberi e le strade. I lanosi fiocchi, grossi come ciliegie, cadevano con frequenza ossessiva distorcendo e dilatando i contorni delle cose.
Nulla lo distoglieva dai suoi problemi, se non il bianco smagliante di quell’immacolato tappeto. Meccanicamente si tolse il guanto sinistro e con la mano libera cacciò via dalla tasca dell’impermeabile un paio di vecchi occhiali d’osso con le lenti oscurate. Le aste consumate da chissà quante dentate sferrate nei più disparati momenti, non per forza di prostrazione o rabbia, avevano perso l’originale colore ma di certo non la comodità. La stessa assicurata da un bel paio di scarponi da montagna usati per qualche stagione e messi a riposare dopo un’energica ingrassatura: quando i piedi riscoprono le proprie forme negli avvallamenti della pianta e nella deformazione della pelle, tanto da percepire ogni millimetro della superficie calpestata, si riprova il piacere di passeggiare.
Lui marciava inesorabile incontro al suo presunto destino, quello che sarebbe riuscito a costruire sulle fondamenta dell’altrui volontà. Se le vicende, nella loro corsa fatta d’incroci, sovrapposizioni, conflitti e confluenze, determinano il tutto come poteva lui non riconoscerle come basilari per l’affermazione delle sue aspirazioni? La vita non era nelle sue mani ma preferiva ignorarlo, non voleva possederla. La possibilità di considerarsi appendice di un qualcosa, comparsa e protagonista insieme con altri di un gioco, grande o piccolo che fosse, voluto e programmato prima della sua nascita, lo rasserenava infondendogli un sentimento di mistica rassegnazione per le avversità sopportate come ennesime tappe verso la sua purificazione.
Torpidi pensieri recalcitranti a lasciare il posto alla speranza lo spingevano verso la solitudine e l’angoscia. Per un attimo fermò il pensiero e anche il resto del corpo, chiuse e richiuse gli occhi stropicciandoli con le fredde dita. La neve continuava a cadere instancabile tra ovattati suoni e voci. Riprese il cammino seguendo orme fresche. Sembrava il suo stesso numero di calzatura e anche il modello era somigliante. Quasi gli stessi tagli in punta e il medesimo tacco consumato all’interno. Dietro quei segni vedeva l’uomo. Chi va a piedi è sempre un poveraccio? Provato dalla fatica e con le mani impacciate da attrezzi e ogni altro genere di roba utile alla famiglia, è sempre alla continua ricerca di tranquillità economica che per condanna non riuscirà mai a raggiungere, nonostante la necessità di allestire il desco. Comunemente curvo guarda a terra per dare un significato alla sua sopravvivenza, come per cercare un affetto caro perso proprio lungo quella strada.
Non nevicava più, ma in compenso il freddo era diventato insopportabile. Nel sistemarsi meglio la sciarpa di flanella si accorse di aver seguito troppo quella traccia che ormai lo aveva condotto in una contrada agricola. Costeggiando la linea ferroviaria fece ritorno verso la città che a quell’ora e in quell’attimo preciso si presentava deserta, lungo le strade la vita era sparita per far posto all’oscurità. Lentamente raggiunse casa ripensando a quel viso di donna. I problemi non sembravano più tanto pressanti. Vicino il portone di casa incontrò i soliti amici, rapporti logorati dall’eccessiva frequentazione e confidenza, ormai privati da quegli stimoli che costellarono le ore spensierate della giovinezza.
Amore verso il prossimo che non sentiva e forse non voleva più provare. Scambiò poche battute e tagliando subito corto s’imbucò per il buio corridoio. Non riusciva a vedere i propri passi ma ciò non gli destava preoccupazione. Da troppi anni percorreva quel “viottolo” lastricato, non poteva incappare in nessun ostacolo. Meccanicamente girò l’angolo evitando di inciampare nello scalino. Salì speditamente le rampe, fino all’ultimo piano dove il padrone di casa aveva ricavato, da due delle quattro soffitte, un appartamento ampio e accogliente